Dolore alla spalla: l’utilità dell’esercizio nelle problematiche di cuffia dei rotatori.
Autore: Giacomo Zipponi
La famosa cuffia dei rotatori. La famosissima e irreprensibile cuffia di rotatori. I muscoli rotatori. Ma non sapevo si dovessero allenare per recuperare l’uso della spalla.
Questo è quello che immagino quando vedo un paziente sorpreso dalla proposta di fare degli esercizi per superare un episodio di dolore alla spalla.
Ma andiamo con ordine, chiariamo il perché della mia sorpresa.
Come è fatta una spalla
La spalla, e in questo caso per spalla intendiamo proprio l’articolazione principale, quella che tutti immaginano quando si parla di spalla, che in gergo tecnico si chiama gleno-omerale, è un’articolazione fra due superfici molto diverse. Spesso la pensiamo come una palla in una ciotola, ma in realtà assomiglia di più ad una pallina da golf su una moneta da 2 euro. Detta così diventa abbastanza chiaro quanta sia l’importanza dei legamenti e della muscolatura a fare si che il nostro braccio rimanga attaccato al nostro corpo. Nello specifico un grosso ruolo di stabilizzazione e movimento della spalla è rivestito da quel gruppo di muscoli che vengono chiamati nel loro insieme la cuffia dei rotatori.
Che non è questa …
… ma questa
Presentiamo gli attori: abbiamo due muscoli, sottospinato e piccolo rotondo, che si danno una mano a vicenda a extraruotare (se state con le mani dietro la testa e i gomiti larghi state extraruotando), uno grande e grosso, il sottoscapolare, che fa il lavoro opposto ai due, ovvero l’intrarotazione (se vi grattate a mezza schiena state intraruotando) e poi il sovraspinato: un piccoletto che sta lì sopra appeso, non rompe a nessuno e fa il suo lavoro di iniziare il sollevamento laterale del braccio (in gergo tecnico abduzione).
Spesso si pensa a questi muscoli come se fossero dei cavi che si attaccano su punti specifici dell’osso. In questo caso, se uno di questi si dovesse danneggiare o rompere del tutto si perderebbe completamente un certo movimento. In realtà, anche se questi muscoli fanno movimenti diversi, più si avvicinano alla spalla più si avvicinano fra loro e i loro tendini sono un guazzabuglio difficile da distinguere: più che vedere 4 tendini diversi si vede una specie di pellicola che avvolge completamente la spalla. Questo fa sì che, anche se uno di questi muscoli perde forza o si lesiona, spesso se gli altri diventano forti a sufficienza si riesce a recuperare una buona capacità di movimento per il braccio.
Cosa può capitare alla cuffia dei rotatori?
Osservando tramite ecografia o risonanza queste strutture si può vedere come se la passano: a volte si possono scoprire depositi di calcio dove non ci si aspetterebbe di vederli, come sui tendini, oppure scoprire delle lesioni di questa rete di tessuto connettivo, talvolta parziali e tlvolta a tutto spessore e talvolta massive. Vediamo di capire le differenze.
Per chiarire il più possibile possiamo pensare alla cuffia nella sua totalità come a un tappeto, o a un fazzoletto. Il tappeto rende di più l’idea di quanto siano robusti questi tendini a mio parere.
Una lesione parziale possiamo immaginarla come un tappeto che in un certo punto, ad esempio quello dove vostro figlio gioca sempre con le macchinine, risulta essere “liso”: il tendine in quel punto ha una parte di fibre che non lavorano normalmente o che hanno dato forfait, ma tutte quelle sotto sono ancora funzionanti.
Una lesione a tutto spessore è un buco nel tappeto, come quello che potrebbe farsi rovesciandoci sopra un acido che lo sciolga. In questo caso, in quel punto specifico nessuna fibra sta lavorando, perché le fibre proprio non ci sono. In compenso tutto attorno i tendini continuano a fare il loro lavoro. fortunatamente, al contrario di un tappeto, che deve essere bello da vedere, la cuffia dei rotatori anche con qualche buchetto può fare la sua bella figura, consentendo un movimento completo e funzionale della spalla.
Viene definita lesione massiva una lesione a tutto spessore che include più di due tendini della cuffia. In questo caso dobbiamo pensare a un tappeto con una porzione mancante abbastanza grande, e in una spalla questo può portare ad una notevole perdita di forza e di funzionalità.
Tutti questi tipi di lesione, classificati in base alle dimensioni, si possono presentare a seguito di traumi ma spesso sono visibili anche in soggetti che non hanno alcun dolore: in questi casi di solito la ragione è che i cambiamenti sono avvenuti lentamente nel tempo ed il corpo ha avuto modo di adattarsi a funzionare adeguatamente. Non dobbiamo dimenticare infatti che i nostri tendini, contrariamente ad un tappeto, sono vivi, e possono guarire spontaneamente, se viene dato loro il giusto carico. Inoltre come abbiamo detto prima, anche in presenza di lesione, una grande fetta di muscoli e fibre tendinee sono ancora in grado di fare il loro lavoro. Esistono studi che evidenziano come certi tipi di lesione, in soggetti che non hanno dolore, divengano molto frequenti con l’aumentare dell’età, quasi come se fossero segni di invecchiamento paragonabili ai capelli bianchi o alle rughe (che non fanno male se non all’orgoglio).
Quando il gioco si fa duro… SSMP
Nonostante la capacità di adattamento del nostro corpo, una spalla con una lesione (ma anche senza lesioni) Può fare male (pensatela come le persone: qualche persona brutta è anche cattiva, ma non tutte le persone cattive sono brutte, e non tutte le persone brutte sono cattive, insomma ci siamo capiti). In questi casi rivolgersi ad un professionista è utile per capire come gestire il recupero. Nella maggior parte dei casi l’intervento chirurgico non risulta necessario e una gestione conservativa, se ben costruita (e per ben costruita si intende con un attivo coinvolgimento del proprietario della spalla), è sufficiente ad ottenere risultati soddisfacenti.
Un ottimo punto di partenza, soprattutto in fasi acute in cui il dolore rappresenta il più grande ostacolo al movimento, è utilizzare una SSMP, sigla che sta per Shoulder Symptoms Modification Procedure, che in parole povere significa esplorare diversi modi di fare una azione dolorosa in modo che non lo sia più. Esercizi con piccoli elastici, modificazioni della posizione di partenza, assistenza al movimento offerta da terapista o da forza di gravità, bendaggi di vario tipo possono tornare utili in questa fase. Anche terapia manuale e strumentale possono aiutare a ridurre il dolore , ma hanno senso solo se accompagnate ad un frequente movimento, per far calmare il dolore associato alle posizioni che assumiamo. Le teorie dietro al perché determinate azioni intraprese per modificare i sintomi abbiano successo si sprecano, ma la verità è che non sappiamo esattamente come funzionino la maggior parte di queste strategie. Quello che sappiamo è che se ad esse si associa un programma di esercizio attivoi risultati sono migliori.
I duri iniziano a giocare.
Cosa si intende per programma di esercizi? Sono molte le forme di rinforzo, sia di tipo selettivo che globale attuabili per favorire il recupero. Alcuni esercizi di rinforzo possono essere iniziati molto presto, anche nella fase in cui il dolore è più presente, perché non vanno ad essere irritanti. Quali sono questi movimenti? Variano molto da caso a caso: per qualcuno potrebbero essere movimenti di rotazione, per altri movimenti in cui si tira o si spinge, in altri casi ancora può essere utile iniziare prendendo una strada un po’ più “larga”, iniziando dalle scapole o dalla colonna.
Vediamo di esplorare quali siano i benefici delle diverse forme di esercizio in situazioni di patologia della cuffia dei rotatori.
Attività aerobica non dolorosa.
Soprattutto in fasi iniziali di dolore abbastanza alto, il mantenere una regolare attività aerobica non provocativa può essere molto utile. Questa forma di esercizio ha infatti un effetto analgesico sistemico grazie alla sua azione metabolica. Se pensiamo ad esempio alla camminata o anche alla corsa (se non è irritante per la spalla), hanno un’azione di mobilizzazione leggera e ritmica delle spalle, che può stimolare una iniziale attività della muscolatura e ridurre la sensazione di rigidità spesso avvertita quando il dolore è presente.
Esercizi “lontani”.
Spesso nella SSMP che abbiamo visto prima sono coinvolte posizioni della colonna o delle scapole differenti da quelle abituali: iniziare ad allenare il controllo di queste parti del corpo permette di essere poi più efficaci nel modificare le proprie attività quotidiane, oltre che fornire una base migliore per il movimento della spalla quando invece si inizia il rinforzo.
Esercizi diretti di rotazione.
I muscoli della cuffia dei rotatori hanno azione stabilizzante durante tutti i movimenti della spalla, ma come dice il nome hanno anche il ruolo di fare i movimenti di rotazione. Per iniziare ad attivarla semplici spinte in rotazione mantenute possono essere una buona opzione, a cui poi far seguire rotazioni con un arco di movimento ed una velocità controllate, fino poi a ricercare anche contrazioni di tipo veloce e reattivo. Le posizioni in cui fare i diversi esercizi possono e devono variare per poter stimolare la spalla ed i muscoli in una varietà di angoli.
Spinta e tirata per tornare forti.
In un programma di rinforzo per la spalla movimenti di spinta e tirata su diversi piani e in diverse situazioni rappresentano gli esercizi principali con cui costruire forza per diverse ragioni. Innanzitutto sono movimenti spesso non provocativi o facilmente modificabili per essere resi non dolorosi; inoltre per una questione di leve, permettono di arrivare a sollevare, con il tempo ed una crescita graduale, carichi importanti, che hanno due effetti: 1- attivare molto la muscolatura e renderla effettivamente più forte, 2- da un punto di vista mentale, per qualcuno che faceva fatica a prendere la brocca dell’acqua, arrivare a sollevare qualche kg ha un effetto incoraggiante che non va sottovalutato. In futuro vedremo come questi esercizi possono essere suddivisi e classificati.
Movimenti a leva lunga.
Tipicamente sollevare il braccio tenendo il gomito disteso, frontalmente o lateralmente, è uno dei movimenti che in casi di problemi alla cuffia dei rotatori può risultare doloroso. Questo a causa del fatto che essendo la leva più lunga, la forza e la tensione su muscoli e tendini risulta più alta rispetto a spingere o tirare piegando il gomito, che come abbiamo visto prima è spesso meno doloroso. Questo non significa che tali movimenti vadano evitati, ma in u programma di rinforzo in cui sono i più sensibili sicuramente saranno trattati con un po’ di riguardo in più (inizialmente): possono essere ad esempio introdotti in maniera assistita o addirittura passiva, per poi andare a gestirli in posizioni vantaggiose in cui farli attivamente ma con un dolore tollerabile; infine anche su questi l’obiettivo ideale è quello di costruire un buon livello di forza.
Si ma tutta ‘sta roba quanto va avanti?
Risposta diretta, onesta e brutale: un buon programma di rinforzo in generale ha una durata attorno alle 12 settimane. Meno di 6 settimane significa fermarsi prima di avere ottenuto cambiamenti reali della forza. Questo non sta a significare che dovranno passere 3 mesi prima di non avere più dolore alla spalla: i sintomi infatti possono alleggerirsi molto più rapidamente. I 3 mesi sono il tempo necessario a ricostruire e forse anche migliorare gradualmente la capacità della spalla di gestire movimenti e carichi diversi. Sono inoltre un tempo utile per imparare ad autogestirsi negli esercizi e instaurare l’abitudine a tenersi in movimento, per imparare ad interpretare i segnali del nostro corpo.
L’obiettivo di un percorso di fisioterapia di questo tipo è quello di fornire al paziente gli strumenti e le conoscenze per fare sì che sia lui a guarire, non noi a guarirlo.
Autore: Giacomo Zipponi
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