LE POTENZIALITA’ DELLA TERAPIA NUTRIZIONALE PERSONALIZZATA NEL DIABETE MELLITO DI TIPO 2
Il diabete mellito è una problematica molto diffusa nella società occidentale ed in rapida espansione. Non si tratta di una patologia ma di una sindrome dismetabolica, caratterizzata da diversi sintomi, segni clinici e complicanze.
Attualmente il diabete mellito viene classificato in tre gruppi sulla base dell’eziologia: il diabete mellito di tipo 1 (T1DM), di tipo 2 (T2DM) e altre tipologie (per esempio in diabete mellito gestazionale). L’aspetto che accumuna le tre forme di diabete è un riscontro di iperglicemia, causata da un deficit assoluto di insulina, un ormone fortemente legato alla regolazione del metabolismo, dalla sua ridotta efficacia biologica, o da entrambe le cause. Tuttavia le cause della patologia sono molto diverse nelle tre forme; il T1DM rappresenta i casi più rari e si tratta di una particolare forma auto-immune che interessa principalmente pazienti pediatrici e adolescenti; le altre tipologie di diabete hanno cause diverse e spesso sono secondarie ad altre problematiche; infine, la forma più diffusa, il T2DM, oltre ad una componente genetica, presenta diversi fattori di rischio riconducibili allo stile di vita dei pazienti.
Per questo motivo, accanto alla diagnosi medica e al trattamento farmacologico del T2DM, che non sono oggetto di questo articolo, la terapia nutrizionale riveste un ruolo chiave sia nella prevenzione che nel trattamento del disturbo.
La diagnosi di T2DM è spesso silente all’esordio, tanto che il paziente si rende conto di essere effettivamente diabetico al momento della comparsa di una o più delle complicanze. La gravità dal punto di vista clinico del disturbo diabetico, infatti, si trova principalmente nelle complicanze patologiche a lungo termine, rappresentate da conseguenze di microangiopatia (retinopatia, nefropatia e neuropatia) e di macroangiopatia (aterosclerosi, ischemia, trombosi, ictus cerebrale, TIA e patologie ischemiche periferiche), pericolose per la vita del paziente. I fattori di rischio del T2DM sono principalmente, oltre alla familiarità, l’età, l’obesità, lo stile di vita (alimentazione e sedentarietà) e la compresenza di patologie associate, come ad esempio la dislipidemia e la sindrome metabolica. Se su alcuni di questi fattori di rischio non c’è modo di intervenire, dal punto di vista dell’alimentazione con un approccio nutrizionale mirato si può fare in primo luogo un importante intervento di prevenzione, qualora il soggetto interessato sia consapevole di possedere
uno o più degli altri fattori di rischio, e secondariamente affiancarsi in modo costruttivo all’eventuale terapia medica. In particolare si parla di prevenzione primaria quando si cerca di modulare i fattori di rischio di determinati eventi e di prevenzione secondaria quando si interviene su una problematica già conclamata. In questo contesto, una componente comportamentale importante nel trattamento del diabete è rivestita da una corretta alimentazione. Storicamente, prima dell’ottenimento dell’insulina ricombinante e del suo uso nel trattamento farmacologico, i regimi
dietetici proposti per il trattamento del diabete mellito si caratterizzavano per essere molto restrittivi, specialmente in relazione all’uptake giornaliero di carboidrati. Successivamente, quando l’insulina è diventata di uso comune, questi protocolli sono stati via via abbandonati a favore di studi che hanno portato alla luce approcci dietetici nuovi, che non propongono un trattamento nutrizionale univoco, ma vanno ad intervenire sui diversi fattori di rischio tipici della patologia diabetica, allo scopo di ottenere un effetto complessivo positivo.
I principali obbiettivi di una terapia nutrizionale sono rappresentati dal raggiungimento e mantenimento di valori glicemici, pressori e lipidici in un range di normalità, fornire un apporto calorico adeguato all’ottenimento e successivo mantenimento di un peso corporeo adeguato, gestire i fattori di rischio cercando di prevenire le complicanze finora illustrate e migliorare globalmente lo stato di salute del paziente, il tutto nel rispetto non solo delle necessità nutrizionali del singolo individuo, ma anche dei gusti e delle preferenze del soggetto, al fine di ottenere la migliore
aderenza possibile al protocollo dietetico e limitando il suo sacrificio. Il protocollo dietetico adottato deve essere un progetto con obbiettivi a breve e a lungo termine, a seconda delle caratteristiche del paziente e del suo stato di salute. In particolare gli elementi di cui bisogna tener conto sono l’apporto calorico e nutrizionale con particolare attenzione all’apporto di carboidrati giornaliero e all’interno del singolo pasto, il calo ponderale, la distribuzione dei pasti e
l’adattamento alla terapia farmacologica in collaborazione con il medico. L’apporto calorico viene calcolato sulla base di diversi fattori paziente-dipendenti, quali il suo peso attuale e quello desiderabile, la distribuzione del tessuto adiposo in relazione a quello muscolare, valutabile con varie metodiche, il grado di attività fisica che il paziente svolge, che generalmente è consigliabile incrementare o introdurre, laddove non sia presente, in quanto utile sia al fine del calo ponderale, sia al miglioramento generale dello stato di salute. Il calo ponderale, infatti, proporzionato alla
situazione di partenza del soggetto, è uno dei principali goals del protocollo dietetico in quanto il tessuto adiposo ed in particolare il grasso viscerale, che si riscontra tipicamente in quantità superiore alla norma nel caso del paziente obeso, non costituisce semplicemente una riserva di grassi, ma è un grosso rischio dal punto di vista metabolico, poiché si comporta a tutti gli effetti come un organo endocrino andando a produrre molecole capaci di indurre insulino-resistenza. Lo stress metabolico ed infiammatorio dati da un eccessivo accumulo di tessuto adiposo, sono un
fattore molto rilevante per il paziente diabetico, che spesso inizia una terapia nutrizionale in uno stato importante di obesità che, se in passato era una caratteristica legata all’età, oggi compare tipicamente in pazienti sempre più giovani, il che rende necessario uno screening precoce ed accurato. Anche il contenuto nutrizionale, l’apporto di carboidrati e la distribuzione dei pasti nell’arco della giornata sono aspetti che vanno soppesati in relazione non solo alla situazione
patologica a cui ci si trova di fronte, ma anche alle abitudini ed allo stile di vita del paziente.
Complessivamente, un approccio altamente personalizzato pensato ad hoc su ogni singolo paziente risulta essere la strategia più efficace sia per andare ad intervenire in modo assolutamente mirato su problematiche singole o concomitanti, sia per assecondare gusti personali, esigenze culturali, sociali e religiose, facendo vivere serenamente al paziente l’adozione del protocollo nutrizionale in modo che possa avere un valore educativo ad una sana alimentazione. Una nutrizione corretta, infatti, al di là dello scopo puramente terapeutico, dovrebbe nel lungo periodo integrarsi alle abitudini del soggetto, andando insieme ad altri fattori a costruire un nuovo stile di vita che non assecondi una situazione patologica aggravando fattori di rischio già presenti, ma promuovendo la salute ed il
benessere.
Dott.ssa Benedetta Zanetti
BIBLIOGRAFIA
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